In Emilia-Romagna nasce il nuovo Piano regionale per la prevenzione del rischio sucidi
L’assessore Fabi: “Abbiamo costruito un modello che mette al centro la persona, valorizza il lavoro di squadra e promuove un carcere più umano, perché nessuno deve essere lasciato solo nel proprio dolore”
Equipe multidisciplinari per valutare i casi a rischio e definire i piani individuali di intervento. Massima sinergia tra operatori penitenziari e sanitari e percorsi clinici personalizzati per accompagnare il detenuto dal momento dell’ingresso alla dimissione, con azioni mirate di prevenzione e sostegno
3 luglio 2025 - Staff multidisciplinari per favorire la massima sinergia tra operatori penitenziari e sanitari; stretta collaborazione con i servizi sociali e sanitari territoriali, per intercettare in tempi rapidi i possibili comportamenti lesivi; percorsi clinici personalizzati, che accompagnano il detenuto dal momento del suo ingresso nell’istituto penitenziario fino all’uscita dal carcere; prime visite per la valutazione del grado di rischio suicidario, con ulteriori rivalutazioni psicologiche e psichiatriche, e programmi individuali di presa in carico per affrontare situazioni che nel tempo possono cambiare.
Già nel nome, “Piano regionale per la prevenzione del rischio suicidario nel sistema penitenziario per adulti - Linee di indirizzo 2025”, è racchiuso l’importante e ambizioso obiettivo: contrastare quello che l’Organizzazione mondiale della sanità identifica come una delle principali cause di morte tra le persone detenute, il drammatico fenomeno del suicidio in carcere.
Per farlo, Regione e Amministrazione penitenziaria dell'Emilia-Romagna e Marche hanno unito le forze dando vita, dopo due anni di lavoro, al documento, approvato nell’ultima seduta di Giunta, che aggiorna le precedenti Linee guida del 2018 puntando a migliorare l’efficacia delle misure di prevenzione e a fornire ai professionisti coinvolti un utile strumento di lavoro. Tutte le strutture penitenziarie della regione e le Aziende Usl dovranno dotarsi di un Piano locale che costituisca la declinazione operativa del Piano regionale e dell'Accordo nazionale, in linea con le indicazioni dell'Oms.
“La prevenzione del suicidio in carcere- sottolinea l’assessore regionale alle Politiche per la salute, Massimo Fabi-non è solo una questione sanitaria, ma un dovere politico, etico e civile. Con l’Amministrazione penitenziaria abbiamo sempre lavorato per contrastare questo drammatico fenomeno, in crescita in tutta Italia, mettendo in campo soprattutto negli ultimi anni una serie di azioni volte a prevenirlo. Ora, insieme, abbiamo provato a costruire un nuovo modello, che mette al centro la persona, valorizza il lavoro di squadra e promuove un carcere più umano, dove nessuno sia lasciato solo nel proprio dolore, o peggio nella disperazione. Ogni vita conta, anche dentro gli Istituti penitenziari, dove aumentano, anche a causa del sovraffollamento, i casi di suicidio. Con questo Piano- chiude Fabi- ci auguriamo di fare un salto di qualità, in Emilia-Romagna, nella tutela della salute dei detenuti e nella prevenzione del rischio suicidario”.
“Con grande soddisfazione presentiamo un lavoro lungo e complesso che dopo due anni di serrati confronti permette di affrontare il disagio penitenziario e il tema dei suicidi in modo congiunto- aggiunge Silvio Di Gregorio, provveditore dell'Amministrazione penitenziaria dell'Emilia-Romagna e Marche-. Il documento racchiude una strategia di intervento dove tutte le amministrazioni e le persone coinvolte si prendono cura in modo sinergico e complementare della persona detenuta e dei suoi bisogni. Questo modo di procedere permette di spacchettare la complessità dei bisogni della persona in molteplici e variegati interventi mirati agiti dalle varie competenze in campo, assicurando azioni di prevenzione e sostegno mirate e altamente performanti”.
I principali contenuti del Piano
Il Piano si propone di intervenire sull’intero contesto detentivo, promuovendo la creazione di una rete di attenzione estesa e capillare che coinvolge tutte le figure presenti in carcere: personale sanitario, agenti di polizia penitenziaria, educatori, volontari, compagni di detenzione, familiari.
L’obiettivo è intercettare precocemente, già dall’ingresso, i segnali di disagio, anche nei cosiddetti “casi silenti”, ovvero quei detenuti che non manifestano apertamente sofferenza ma che possono essere a rischio.
Ogni istituto penitenziario dovrà dotarsi di un Piano locale di prevenzione redatto congiuntamente dalla direzione dell’istituto e dall’Azienda Usl competente: il Plp dovrà prevedere protocolli operativi, strumenti di valutazione, modalità di segnalazione e presa in carico, oltre a momenti di formazione congiunta per tutti gli operatori. Elemento centrale del nuovo modello è l’Unità locale prevenzione suicidi, l’organo collegiale multidisciplinare competente da costituire in ogni Istituto penitenziario, che deve riunirsi settimanalmente ed è composto da un referente dell’Amministrazione penitenziaria e dell’Ausl di competenza e può coinvolgere a vario titolo nella gestione del caso anche servizi sociali, mediatori, volontari, ministri di culto, ecc.. Allo staff multidisciplinare spetta l’analisi congiunta delle situazioni a rischio e definire i piani individuali di intervento.
Particolare rilievo viene dato alla sinergia tra operatori penitenziari e sanitari e alla stretta collaborazione con i servizi sociali e sanitari territoriali, con la Magistratura, i Garanti, gli Ordini degli avvocati, il volontariato e i familiari dei detenuti, favorendo l'estensione a tutta la popolazione detenuta delle iniziative di prevenzione, da articolarsi sull'intero arco della detenzione e non solo nella fase di accoglienza.
Viene anche introdotto un sistema di grading del rischio suicidario (lieve, medio, alto), basato su criteri clinici e comportamentali. A ciascun livello corrispondono azioni specifiche: dalla semplice osservazione alla presa in carico intensiva, fino al ricovero ospedaliero nei casi più gravi; particolare attenzione è riservata ai detenuti appena entrati in carcere, considerati tra i soggetti più vulnerabili.
La valutazione del rischio è da predisporre sia all'ingresso presso l'istituto, sia ogni qualvolta, in relazione a mutamenti delle condizioni personali e/o detentive, vengano rilevati segnali di disagio.
Nel caso in cui venga rilevata una condizione di rischio suicidario alto e/o una condizione di scompenso psicopatologico di gravità tale da determinare la necessità di un intervento sanitario specialistico continuativo, il detenuto deve essere inviato con urgenza presso un luogo esterno di cura per le cure necessarie.
Grande importanza assume la formazione: a livello locale, le Aziende Usl e le Direzioni degli Istituti penitenziari organizzano percorsi congiunti per favorire, attraverso il confronto e lo scambio tra gli operatori, l'efficienza e l'efficacia organizzativa relativa alla prevenzione dei suicidi e il miglioramento della integrazione degli interventi e delle procedure disposte con i Protocolli locali. Previsto anche un sistema di monitoraggio e audit per valutare l’efficacia degli interventi.
Infine, poiché l’impatto di un suicidio ha un peso che non può essere trascurato, i Piani locali devono prevedere azioni di supporto psicologico per il personale e per gli altri detenuti coinvolti, al fine di elaborare l’evento traumatico e prevenire ulteriori crisi.